La ‘Meda de Fen’

Non ce ne sono più molte, davvero, nel Territorio di Facen.

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E dobbiamo essere grati a quei pochi che ancora, non sappiamo se per rispetto alla tradizione o per il solo piacere, continuano a realizzarle e a punteggiarne il paesaggio.

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Sì, non più solo temporaneo deposito di fieno da cui attingere, nel corso dell’inverno, per i bisogni della propria stalla, ora sono diventate elementi architettonici del paesaggio rurale.

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Al di là dei ricordi di fatica che, per qualcuno di noi, tali Mede hanno rappresentato – fatica per realizzarle, altra fatica per smontarle e trasportarne a casa, spesso lungo i Troi con le Musse, il relativo fieno – va perdendosi la sapienza oltreché la manualità, necessaria per costruirle.

Sapienza certamente affinatasi nei secoli, fatta di piccole cose ma di tanti intuiti.

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Intanto bisognava individuare il posto per realizzarla, che – ovviamente – non era scelto a caso: doveva infatti ottimizzare sia il lavoro per portarci appresso il fieno secco raccolto, sia quello successivamente necessario – spesso in tardo inverno e con la neve – per prelevarlo e trasportarlo a valle.

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E non doveva essere un posto soggetto ad umidità e ristagno d’acqua, o su pendii interessati da masse nevose od esposti alla furia dei venti.

Poi necessitava del Pal de la Meda, normalmente un abete secco, un tronco ben levigato e pure appuntito. Un Pal che – una volta smontata la Meda e recuperato dalla stessa il fieno riposto – veniva accuratamente riposto per essere riutilizzato nell’anno successivo.

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Inoltre, affinché il fieno non avesse ad essere in contatto con il terreno, per evitare ogni possibile marciume ed umidità, vera tragedia per la qualità del fieno, bisognava costruire un basamento, rialzato da terra, poggiante su sassi o ceppi, spesso usando ramaglia di abete o di faggio: lavoro questo, badate bene, di esclusiva competenza del capo famiglia e – ove dallo stesso non realizzato – oggetto di rimproveri, osservazioni e mugugni in quanto mai a sufficienza ben fatto.

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L’accatastamento del fieno, poi, era ( è ancora ), vero esercizio d’arte !

Essendo la Meda rotonda, realizzata intorno al Pal de la Meda, e dovendo terminare a forma tronco/conica, il fieno doveva essere posizionato con estrema cura, con occhio, con proporzione, sparso tutt’intorno con uguale carico, continuamente calpestato in circolo per assestarlo e compattarlo, man mano crescendo intorno al Pal, a cerchi concentrici, digradando poi alla fine in un puntale sempre più sottile.

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Mi è sempre venuto il dubbio se la preoccupazione del capofamiglia, nei suoi gesti di consumata esperienza, fosse più rivolta alla pura conservazione del fieno, o alla preoccupazione per gli scherni che inevitabilmente gli sarebbero stati a lungo fatti in paese per il risultato estetico che ne sarebbe conseguito !

Ma buona parte del risultato funzionale ed estetico della Meda era certamente in mano alle donne, che con continue pettinate della superficie del fieno, allineavano la direzione degli steli, per un efficace scorrimento dell’acqua e della neve e ne perfezionavano la forma estetica finale ed il generale equilibrio statico.

Infine, il tocco da maestro: il Rozh , detto anche Parsor

Questo era preventivamente realizzato a terra, col fieno, scelto per tipologia e lunghezza degli steli, con cura attorcigliato come una corda, quasi intrecciato, come un filare la lana, lungo qualche metro…

Una roba da professionisti, insomma, rigorosamente fatta, o personalmente controllata, dal capofamiglia !

Duplice e fondamentale la sua funzione:

sigillare, avvolto attorno al Pal de la Meda, la superficie del fieno intorno al Pal, ove non consentire l’ingresso e lo sgocciolamento di acqua e neve, che avrebbe generato marciumi all’interno del fieno accatastato rendendolo immangiabile per le bestie;

creare, col suo movimento a spirale, l’elemento estetico di completamento della Meda stessa (era su questo aspetto, che all’osteria o al Casel sarebbero scaturiti gli inevitabili commenti !)

Un lavoro di più persone, infatti, quasi una operazione chirurgica, concentrazione e poco spazio per le chiacchiere, ognuno aveva un suo compito, una sua sequenza operativa, una sua funzione : compreso quello che doveva comunicare eventuali ‘pendenze’ (la pende de qua, la pende de là, in sù, in do …)

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Solo alla fine, quando ormai appeso per il solo palo, il capofamiglia ordinava ‘la scala’ che – appoggiata alla pancia della Meda, gli avrebbe consentito di scendere, si poteva conscere il suo supremo giudizio sull’opera realizzata!

E non era sempre positivo : mugugni e rilievi vari per tutti erano spesso all’ordine del giorno (sempre preoccupato dei futuri commenti all’osteria…)

Ma qualche volta anche legittima soddisfazione per aver messo via il fieno e realizzata un’opera in grado di affrontare correttamente l’inverno e riempirne di giusto orgoglio l’artefice.

A.Chs