‘Musse’ : modalità di costruzione

Attrezzatura per la costruzione delle ‘Musse’

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Per costruire una “Mussa” occorrono pochi e semplici attrezzi da falegname :

una sega, un martello, una pialla, una sgobbia (detta anche ‘fer da zhercoi’ ) , delle trivelle a mano di diverse dimensioni, un ‘manarin’ (accetta), un ‘ronca’ (la roncola), i tondini di ferro di diverse dimensioni, ‘pendole’ (cunei) di ‘cassia’ (acacia) e l’immancabile ‘britola storta’ .

Ma, oltre che dei necessari attrezzi, fondamentale – per la costruzione delle ‘Musse’ – era la scelta della tipologia di legno con cui realizzare i diversi componenti della stessa.

Erano, questi, il probabile risultato di una storia costruttiva che, nel tempo, aveva individuato e selezionate le essenze di legno più adatte alle diverse sollecitazioni che le stesse avrebbero subito nel corso delle attività cui le ‘Musse’ erano destinate.

Per gli sci o “musài” si usa, infatti, il legno di ‘carpen’ (carpino), molto duro, che crescendo comunemente sui nostri pendii, spesso veniva scelto e selezionato già con la caratteristica curvatura specifica e necessaria per gli stessi.

Il tronco del ‘carpen’ era segato a mano per la sua lunghezza, per ricavarne due “musài”  gemelli, successivamente lavorati, sgrezzati e finiti al punto giusto col “manarin”, coadiuvato per la finitura dalla “sgobia” e, per le superfici piane, dalla “piala”.

Le ‘gambete’ erano fatte rigorosamente di ‘ruban de cassia’ (durame di acacia), legno particolarmente duro.

I traversi o “dogadei”, erano invece de ‘frassen’ (frassino), come anche le “bachete” e le “maneghere”.

Quest’ultime, oltre che de ‘frassen’, potevano essere realizzate anche de ‘cornoler’ (corniolo). Con questa essenza, per la sua eccezionale e proverbiale durezza erano realizzati, infatti, anche i bastoni che servivano a castigare le nostre irrequietezze, da bambini e ragazzi.

Una tecnica assolutamente particolare era necessaria alla realizzazione dei fori di collegamento dei vari componenti. La foratura avveniva inizialmente tramite l’uso di una ‘trivelin’ di diametro inferiore al necessario.

Successivamente, si usavano dei tondini di ferro dei diversi diametri, che – resi incandescenti sul fuoco – venivano introdotti nei fori guida e piano piano si otteneva il foro della sezione voluta. Questo trattamento garantiva assoluta tenacia agli incastri stessi.

Per assemblare il tutto e per tenere uniti i vari componenti, non c’erano né viti, né chiodi, né alcun bullone. Si usavano esclusivamente delle ‘pendole’  (cunei di legno), o “sigoi” (zhigoj -spine) de ‘cassia’ (acacia).

Per il fissaggio delle “maneghere” venivano invece usate delle “pole” o “sache” de ‘noseler’ (nocciolo), che in un certo periodo dell’anno sono malleabili e facili da ritorcere per farne dei legacci di eccezionale tenacia e durata nel tempo.

Quindi come potete notare, veniva usato solo quello che madre natura forniva in loco.

La ‘britola storta’, inutile a dire, era lo strumento fondamentale di rifinitura di tutti i componenti, oltre che accessorio indispensabile, obbligatorio, del corredo maschile: la ‘britola’ era il telefonino di 50 anni fa, tutti ne avevano una in tasca !

Modalità di trasporto della ‘Mussa’ sulla schiena

Il ‘dogadel’ centrale era posizionato nel punto di equilibrio della ‘mussa’, ove le ‘bachete’ stesse erano distanziate fra loro in maniera tale da consentire all’operatore di infilarci la testa e far appoggiare il ‘dogadel’, e di conseguenza l’intero peso della ‘mussa’, sulle proprie spalle.

Moreno V.