1783 – 1784 – Facen : Epidemia di animali in Facen ed in altre Ville

” ———————-

1783 Epidemia di animali in Facen ed in altre Ville

Fin dall’estate decorso 1783 s’intruse nella Villa di Pren, poi in Anzù, quindi in Villapajera un’infezione epidemica d’animali bovini (37), che fece le più orribili stragi di tal benemerita specie. Non v’erano rimedi valevoli a a trattener un tal morbo e difendere dalla morte i già assaliti.  Con un tremore di testa e col cessare di mangiare davano segno gli sgraziati animali d’esser attaccati dalla contagiosa infezione e tra pochi giorni con tutte le purghe e li salassi ed altri rimedi applicabili doveano perire.

………………………

Nella Villa di Pedavena furono formate successivamente quattro contumacie con rigido serraglio e ne perirono dieci, in dodici capi.

La Villa in cui più inferì questo contagio fu quella di Facen. Alli 20 xbre (38) 1783 fu chiusa essa villa con tutte le sue adiacenze con un sequesto sì rigoroso che nulla più. Non fu questo riaperto se non alli primi della seguente Quaresima cioè durò due mesi e mezzo circa. Gli animali che vi perirono furono più di settanta con sommo pregiudizio e rammarico di più famiglie che restarono affatto prive di una tale specie, mentre ne possedevano chi dieci, chi dodici e chi fino a venti capi, che tutti perirono. Non può ridirsi quanto sia stata la desolazione di quella villa non tanto per la disgrazia degli Animali periti, quanto per la penuria de’ poveri lì rinchiusi, che non avevano onde campare la vita. In una rigida stagione invernale, che veniva resa di giorno in giorno più molesta per la gran copia di nevi, che frequentemente cadendo impedivano ogni modo di procacciarsi il vitto alle miserabili famiglie, era uno spettacolo lacrimevole il vedervi tanta afflitta gente rinchiusa e segregata da ogni commercio col resto degli uomini. In tanta lunghezza di tempo certamente i più miserabili sarebbero periti di fame e di freddo se il resto della Parrochia per le istanze il più delle volte del loro Parroco mossi non fossero di loro compassione somministrando con caritatevole generosità e prontezza delle considerabili elemosine. Venivano queste raccolte e distribuite a proporzione dal Parroco stesso; il che non poteva riuscire più grato a tutta quella afflitta villa sì in riguardo a poveri assistiti sì ancora a tutti gli altri che concordemente mostrarono in fine i più vivi sentimenti di gratitudine per tali provvidenze.

Non bastarono per renderli angustiati tutte le sud.te calamitose circostanze che nella villa stessa per guardia de’ sequestri furono dal Magistrato Ecc.mo della Sanità spediti dieci Soldati Schiavoni (39) i quali costarono a quella povera gente in tutto il tempo più di £. 300 per mantenerli di lume e di tetto e legne, mantenendosi del resto col ritratto delle loro paghe.

Di questi soldati da guardia ne furono distribuiti anche nell’altre ville infette a proporzion dei sequestri dopo che venne in Feltre l’Inquisitore Zambelli sopra la Sanità.

Nemen al Parroco stesso era permesso d’entrare in essa Villa, se non quando fossero nati casi di necessità per infermi o per morti.

Per tutto quel tempo restò chiusa la Chiesa loro senza Messe festive e senza riduzione alcuna di popolo in essa. Tanto era gelosa la materia e rigida la disciplina per la preservazione da ulteriori disgrazie. Ognuno può immaginarsi quanta fosse la consolazione di que’ villici nel dì che fu levato il sequestro ed essi posti in libertà che fu appunto il dì primo di Marzo 1784.

 1784 Ed ecco il motivo per cui in tutto questo frattempo dalli 29 settembre in qua non più fu parlato in questa Parrochia di dar mano all’accennato concordio e per eseguirnelo; appunto perché era impossibile il convocare una generale vicinia che rendevasi necessaria per proporvi le cose e sistemare il tutto coi voti di tutte le Ville a senso del Decretato Concordio.

————-

 (37) Devo dare il giusto rilievo a questo drammatico episodio riguardante l’epidemia dei bovini. Sappiamo che l’allevamento degli animali da stalla era di capitale importanza per l’economia familiare rurale, perché esso era condizione irrinunciabile di vita per i contadini che dicevano: Le bestie le è el nostro sangue. Dalla nascita alla morte, essi abitavano il villaggio in un equilibrio naturale tra l’uomo, il mondo animale e quello vegetale. In questa vocazione accettata, le bestie della stalla avevano un posto privilegiato, importante come la vita stessa. Nel cortile dell’abitazione avevano la stalla, porta a porta, vissuta come la ricchezza di casa e insieme come una condanna. Non potevano allontanarsi più di qualche ora perché il bestiame aveva bisogno di essere accudito e nutrito. Ma esso era la loro fonte di lavoro e di produzione di carne, di latte, di concime (la grassa) e poi offriva il tepore delle veglie invernali nelle case prive di riscaldamento. Con una agricoltura ancora molto lontana dalla meccanizzazione, solo una buona stalla, sana e prolifica di bestie da tiro, garantiva la continuità di una sicurezza economica familiare. Per questo, quando il morbo falciava gli animali delle stalle, per i contadini arrivava la disperazione della rovina, della miseria e della fame. Di riscontro l’episodio ci offre l’occasione di rilevare come, nella disgrazia comune,m tra la nostra gente ogni volta tornasse vivo l’affievolito spirito sociale della solidarietà, al di sopra di ogni trascorsa vicenda campanilistica e nel nome di un’anima collettiva cristiana

(38) Xbre, dicembre, dal latino december. Il cronista usa di frequente queste abbreviature dei mesi, col prefisso in numero arabico o romano, ormai lontano ricordo della brachigrafia medievale

(39) Schiavoni, erano ex prigionieri di guerra stabilitisi a Venezia ad esercitare umili mestieri, ma anche di soldati di reparti speciali che la Repubblica reclutava nei paesi slavi delle coste della Dalmazia e della Croazia, cui allora si dava il nome di Slavonia. Quelli che facevano parte dell’esercito, portavano una loro caratteristica arma chiamata la schiavona, una lunga spada con la guardia formata da tante else sottili incrociate, in modo da proteggere il dorso nella mano fino al polso. Altra piccola curiosità riguarda la derivazione del nostro saluto più confidenziale e comune, ciao, che venne dalla trasformazione del dialetto veneziano ‘sciao, nel significato di schiavo, esagerata esternazione ossequiosa di deferenza corrispondente alla formula di saluto: ”sono vostro schiavo, servo vostro, schiavo suo “.

——————————-”

Tratto dal “ Libro cronistorico della parrocchia di Pedavena (1757-1924)” a cura di Giuseppe Corso e Aldo Barbon

A.Chs_P05